Come il nostro cuore si adatta all’esercizio fisico

Spesso ce lo dimentichiamo, ma il nostro cuore è prima di tutto un muscolo, e parecchio generoso, anche. Batte in media centomila volta al giorno (ipotizzando una frequenza di 70 battiti al minuto) e più di tre miliardi di volte in una vita intera. Ogni giorno, espelle 7.200 litri di sangue per un totale di 190 milioni all’anno, tenendo conto che i vasi sanguigni possono contenere circa 5 litri di sangue.

Ci dimentichiamo anche che, per il cuore, non esiste mai riposo. E, come ogni altro muscolo del corpo, anche il miocardio può modificare la sua struttura anatomica per venire incontro alle sollecitazioni ricevute durante un allenamento o nel corso di un’attività sportiva.

In altre parole, il cuore può diventare più grande e/o più “muscoloso” a seconda del tipo di esercizio che noi facciamo.

In questo articolo, vediamo esattamente come ciò avviene.

 

A cosa serve il cuore?

Attorno al cuore si è fatto molto romanticismo, ma nei libri di anatomia questo organo è descritto né più né meno come una pompa idraulica. Il suo compito? Far circolare il sangue dai polmoni verso tutti i distretti del corpo, e viceversa, affinché le cellule dei vari tessuti siano rifornite di ossigeno e nutrienti e possano liberarsi di anidride carbonica e altri scarti. Ciò avviene attraverso la contrazione (sistole) e il rilassamento (diastole) dei suoi due atri e dei suoi due ventricoli.

 

Cosa succede al cuore quando facciamo esercizio?

Durante l’attività fisica, i muscoli scheletrici impegnati nel movimento hanno bisogno di più energia rispetto al normale. A seconda del tipo di disciplina, il cuore potrebbe essere chiamato a inviare una quantità maggiore di sangue per più tempo, oppure vincere livelli di pressione più elevati, come per esempio durante il sollevamento di un peso.

Nel corso di attività di resistenza, come la corsa, vengono impiegate prevalentemente le fibre muscolari di tipo 1, le cosiddette fibre rosse, in grado di sfruttare i processi ossidativi di tipo aerobico. In uno sport di potenza, come potrebbe essere il lancio del peso, vengono coinvolte in prevalenza le fibre di tipo 2, le cosiddette fibre bianche, che sfruttano invece i processi glicolitici in assenza di ossigeno. Nel primo caso, i livelli di pressione rimangono invariati e al cuore viene chiesto di aumentare la propria gittata cardiaca, cioè pompare più sangue nell’unità tempo di un minuto. Nel secondo caso, invece, il volume del sangue non registra incrementi significativi, ma il cuore è chiamato a superare livelli di pressione molto più elevati rispetto alla condizione di riposo.

In sintesi, le attività di resistenza richiedono più volume, mentre le attività di potenza un maggior lavoro di pressione cardiaca.

Se mi alleno in modo sporadico, il cuore non ha bisogno di adattare la sua struttura anatomica: è sufficiente fare qualche aggiustamento qua e là in attesa di “sopravvivere” all’esercizio. In che modo? Può aumentare il numero dei suoi battiti, cioè accelerando la frequenza cardiaca, oppure far uscire più sangue dal ventricolo sinistro a ogni battito, aumentando cioè quella che viene definita gittata sistolica (bisogna considerare il fatto che il cuore, in condizione di riposo, non espelle tutto il sangue contenuto nei suoi ventricoli).

Tutto questo, naturalmente, ha un costo. Anche il cuore, infatti, come gli altri muscoli, ha bisogno di ossigeno per poter lavorare. Più lo stressiamo, quindi, più ossigeno consumerà. E se questo stress avviene regolarmente nel tempo, perché sono un maratoneta o vado tutti i giorni in palestra, il cuore deve trovare un sistema per diventare più efficiente e lavorare di più e meglio senza consumare troppe energie.

 

Lo stress di parete

Ricapitolando, durante l’esercizio il cuore deve fare un po’ gli straordinari e ciò ha un costo. Viene cioè richiesto un maggior consumo di ossigeno da parte del miocardio, a sua volta connesso alla frequenza cardiaca (il cuore deve battere più velocemente), alla pressione (il cuore deve esprimere più forza) e allo stress di parete. Quest’ultimo parametro è molto più difficile da misurare rispetto agli altri due, ma lo si può ricavare da una semplice formula matematica:

 

T (stress di parete) = P (pressione arteriosa) x r (raggio) / s (spessore)

 

Come si può osservare, lo stress di parete è direttamente proporzionale alla pressione arteriosa, al raggio della camera cardiaca e quindi indirettamente al volume di sangue in essa contenuto, mentre è inversamente proporzionale allo spessore della parete muscolare del cuore.

Con l’aumentare dell’attività cardiaca e il conseguente maggior consumo di ossigeno, il cuore dovrà necessariamente risparmiare energia e prevenire situazioni che possano mettere a repentaglio la propria integrità. Grazie all’esercizio fisico costante nel tempo, quindi, il cuore tenderà a mettere in atto non solo degli aggiustamenti temporanei, ma dei veri e propri adattamenti, modificando cioè nel lungo periodo la propria struttura anatomica.

In altri termini, così come avviene per gli altri muscoli sottoposti a sovraccarico, anche il muscolo cardiaco è in grado di aumentare le proprie dimensioni: questo fenomeno è conosciuto con il termine ipertrofia miocardica fisiologica.

 

Ipertrofia eccentrica

Ritorniamo per un attimo alle attività aerobiche di resistenza. Come detto fin qui, il cuore dovrebbe modificarsi per garantire una gittata cardiaca più elevata ma, allo stesso tempo, ridurre il consumo di ossigeno. L’aumento della frequenza cardiaca non è efficiente in quanto non solo richiede molta energia, ma rischia di provocare un livello insufficiente di riempimento ventricolare e perfusione coronarica. In altre parole, se il cuore batte troppo velocemente, non fa in tempo a ossigenarsi bene e incamerare abbastanza sangue nel ventricolo.

Quindi, a parità di frequenza, il cuore può adattarsi aumentando il raggio della propria cavità in modo da contenere più sangue. Secondo la nostra formula, il raggio aumentato determinerebbe anche un incremento dello stress di parete e quindi il consumo di ossigeno. Per compensare l’aumento del raggio, quindi, il cuore può aumentare anche lo spessore della propria parete. Questo tipo di adattamento, noto come ipertrofia eccentrica, implica perciò l’aumento di spessore delle pareti cardiache, che si allontanano dal proprio centro geometrico a causa del contestuale aumento del proprio raggio. Caratteristica peculiare di questo condizionamento è una marcata riduzione della frequenza cardiaca a riposo, compensata da una gittata sistolica e da una frazione di eiezione più elevate.

In altre parole, con un cuore più grande che pompa un maggiore volume di sangue, è possibile ridurre la frequenza dei propri battiti per raggiungere lo stesso risultato rispetto a un soggetto non allenato.

 

Ipertrofia concentrica

Il discorso cambia per le attività di potenza. Qui i volumi di sangue richiesti non sono particolarmente alti, ma le resistenze periferiche e i livelli di pressione da vincere risultano molto accentuati. In particolare, facendo riferimento alla formula qui sopra, lo stress di parete è molto elevato a causa della pressione. Quindi, l’unico modo che ha il cuore per adattarsi e ridurre lo “stress” è quello di aumentare lo spessore della parete (al denominatore) e al tempo stesso ridurre il raggio della camera cardiaca (al numeratore).

Questo adattamento prende il nome di ipertrofia concentrica: le pareti del cuore aumentano sì di spessore, come nel primo caso, ma si avvicinano all’ideale centro geometrico per via della diminuzione del suo raggio. In altre parole, il cuore ha bisogno di un muscolo più “forte” e ipertrofico, ma non è necessario aumentare il volume di sangue verso i vari distretti muscolari. Per questo motivo, la riduzione della frequenza cardiaca a riposo è meno pronunciata.

 

Ipertrofia mista

Qualora vengano praticate attività di tipo misto, dove sono cioè richieste prestazioni sia di potenza, sia di resistenza, il cuore subirà una combinazione dei due adattamenti visti in precedenza. Il muscolo cardiaco aumenterà le proprie dimensioni e avrà delle pareti muscolari più spesse. Rispetto agli sport di pura potenza, si avrà però una riduzione notevole della frequenza a riposo. Questo tipo di adattamento prende il nome di ipertrofia mista (o estrema). Chi pratica questi sport, molto probabilmente, non potrà eccellere né in prestazioni di pura resistenza, né in quelle di pura potenza.

 

In conclusione

Lo so cosa starai pensando: è meglio praticare attività di resistenza o attività di potenza? Meglio avere un cuore più grande con una frequenza bassa, o un cuore più piccolo e spesso, ma con una frequenza “normale”?

È risaputo che una frequenza cardiaca più bassa, il cosiddetto cuore di atleta, fa molto bene al cuore, in quanto gli permette, a riposo, di lavorare in modo molto più efficiente. D’altra parte, è anche vero che gli sport di potenza hanno i suoi vantaggi, in particolare sull’assetto metabolico e la composizione corporea.

Va da sé che, potendo scegliere, dovrei portarmi a casa il meglio di entrambi (se ti interessa la mia opinione, la trovi qui), ma per chi vuole dare il massimo in una determinata disciplina, ciò potrebbe non essere sempre possibile. Il messaggio che dobbiamo tenere bene a mente è questo: il mio organismo, e anche il mio cuore, si adatteranno in un modo o nell’altro a quello che faccio, punto.

La domanda da porsi è: dove voglio arrivare? Che vantaggi voglio ottenere? Voglio essere più flessibile, più veloce, più forte? In base a questo, deciderò le modalità migliori per prepararmi e allenarmi.

Qualunque sia il nostro obiettivo, il cuore sarà sempre pronto a supportarci e, nel limite delle sue possibilità, a diventare ancor più generoso.


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By Capo Tribù

Aka Gianluca Riboni. Pensatore, personal fitness trainer ISSA, insegnante di Anukalana Yoga, leader di Yoga della Risata, scrittore e blogger (un po') incompreso. E soprattutto, sognatore a piede libero.

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