Ujjain pranayama, respira come un vero guerriero

Se durante una lezione di yoga senti il tuo vicino emettere dei suoni strani, non c’è di che preoccuparsi (forse). Perché quasi sicuramente (o almeno si spera) starà mettendo in pratica un’interessante tecnica conosciuta come Ujjain pranayama.

I pranayama, in estrema sintesi, consistono in una serie di tecniche respiratorie finalizzate al controllo dell’energia vitale (e scusa se è poco), con lo scopo ultimo di calmare la mente e aiutare i praticanti yoga a progredire con la meditazione e con il proprio percorso evolutivo.

Qual è la particolarità diUjjain pranayama? Durante questa respirazione, per l’appunto, siamo chiamati a emettere un suono quasi simile a un fruscio e che ricorda (con un po’ di immaginazione) le onde del mare.

In questo articolo, vediamo nel dettaglio che cos’è, a che cosa serve e come metterlo in pratica in totale sicurezza.

Che cos’è Ujjain pranayama

Ujjain è una tecnica respiratoria molto potente che mira a modificare l’assorbimento, la concentrazione e la distribuzione del prana, l’energia vitale, all’interno dell’organismo. Il suo nome può essere tradotto come respiro del vittorioso, in quanto deriva dai termini “Ud” (elevare) e “Jaya” (vittoria). In questa pratica, infatti, l’energia tende ad aumentare ed espandersi verso l’alto, riempiendo il torace fino a farlo assomigliare proprio a quello di un possente guerriero.

L’Ujjain pranayama è parte integrante dello stile Ashtanga Vinyasa (il cosiddetto “yoga dinamico”, anche se trovo riduttivo chiamarlo così), ma dobbiamo precisare che, nella tradizione dello yoga, viene praticato nella classica posizione del loto e delle sue varianti, come attività a sé stante.

L’Ujjain pranayama può essere definito come una respirazione yogica completa (in grado cioè di sfruttare al massimo tutte le capacità polmonari a partire dal diaframma) che richiede una parziale chiusura della glottide. La glottide, per chi non lo sapesse, è una sorta di apertura presente nella gola, in corrispondenza delle corde vocali, che consente il passaggio dell’aria dalla faringe alla trachea e viceversa. Chiudendo parzialmente questo passaggio in modo volontario, buona parte dell’aria viene per così dire “bloccata” nella laringe, dove si vengono a creare dei piccoli vortici.

Da questa manovra, ha origine il suono tipico dell’Ujjain pranayama.

Quali sono i benefici

Ujjain pranayama aiuta la concentrazione, liberando la mente dai pensieri, e attraverso i vortici d’aria che si formano con la parziale chiusura della glottide, viene effettuato un vero e proprio massaggio alla corde vocali. Per questo motivo, la voce diventa più profonda e melodiosa.

Inoltre, dal momento che durante questa pratica l’aria scarseggia, i muscoli respiratori, e in particolare il diaframma, sono chiamati a lavorare di più per assolvere il loro compito. Di fatto, questo pranayama è da considerarsi un vero e proprio allenamento in grado di rendere più efficiente il nostro modo di respirare.

Tra gli altri benefici, Ujjain pranayama:

  • Allevia i guai alla tiroide e in generale alle vie respiratorie.
  • Aumenta la pressione dentro il torace incrementando così gli scambi gassosi.
  • Rende i polmoni più elastici migliorando l’ossigenazione.
  • Apporta sollievo ad alcuni disturbi come asma, tonsilliti e laringiti.
  • Se fatta dolcemente, ha un effetto molto calmante, risultando particolarmente efficace per chi soffre d’ansia e/o d’insonnia.

Come si mette in pratica

Ujjain pranayama, similmente al Kapalabhati, non è una tecnica così scontata come potrebbe sembrare, pertanto sarebbe meglio essere seguiti, perlomeno nelle fasi iniziali, da un istruttore yoga ben preparato. Anche in questo tipo di respirazione, che generalmente si svolge da seduti nella posizione del loto o nelle sue varianti più semplici (come stare a gambe incrociate, per esempio), è di fondamentale importanza tenere la schiena eretta e il petto ben aperto, affinché si possano sfruttare i polmoni al massimo delle loro potenzialità e l’energia sia libera di circolare.

Prima di iniziare, è bene tenere a mente alcune raccomandazioni:

  • La pratica deve essere piacevole e priva di tensione. Quindi, andrebbe evitato ogni tipo di sforzo nel tentativo di “riprodurre” a tutti i costi il suono tipico di questo pranayama.
  • Come ogni pratica di questo genere, è necessario portare molta, molta, molta consapevolezza su quello che si andrà a fare. In particolare, osservando le sensazioni a livello della gola e del collo al fine di scongiurare, in anticipo, tensioni, stress o sollecitazioni eccessive in una parte del corpo così delicata.
  • Non bisognerebbe mai arrivare all’affanno nel tentativo di rendere il respiro più ampio e più profondo.
  • Se partiamo da zero, è meglio prima impadronirsi delle tecniche più semplici, come la già citata respirazione yogica completa (vedi, per esempio, la respirazione organismica dell’approccio Anukalana) o il viloma pranayama.

Fatte queste doverose premesse, il cuore della tecnica consiste nell’eseguire, da seduti, ampi e profondi respiri chiudendo parzialmente la glottide e “ostacolando” quindi, ma in modo dolce e non forzato, il passaggio dell’aria da e verso i polmoni. In particolare, affinché la tecnica sia efficace e veramente calmante, l’espirazione dovrebbe avere durata superiore rispetto all’inspirazione, almeno del doppio.

Se dovesse risultare difficile controllare la glottide ed “emettere il suono corretto”, ci può venire in aiuto l’idea di dover sussurrare qualcosa a qualcuno. Per rendere ancora più potente il tutto, si può introdurre una visualizzazione (detta Sabija pranayama) dove ci immaginiamo di assorbire luce mentre inspiriamo e diffonderla in tutte le cellule del corpo mentre l’aria esce.

Come capire se stiamo facendo le cose per bene?

  • Il torace dovrebbe espandersi respiro dopo respiro e non dovrebbe mai collassare o chiudersi in avanti, mentre la schiena rimane ben dritta durante tutta la pratica.
  • A ogni inspirazione e a ogni espirazione, dovremmo sentire un suono ben riconoscibile, quasi un sibilo, causato dalla parziale ostruzione della glottide. Purché, naturalmente, ciò non crei disagio o sensazioni di malessere.
  • L’espirazione, cioè quando buttiamo fuori l’aria dai polmoni, dovrebbe essere più lunga dell’inspirazione, in un rapporto di circa 2:1.
  • La mente, a mano a mano che si procede, dovrebbe diventare più luminosa, leggera, calma e “spaziosa”.
  • A livello del collo, della gola e delle corde vocali, non si dovrebbe avvertire alcuna sensazione di dolore, tensione o affanno.
  • Al termine della pratica, il respiro “spontaneo” dovrebbe risultare, in genere, più ampio, profondo e con pause più lunghe.

Consigli conclusivi

L’Ujjain pranayama, magari combinato con il Kapalabhati, richiede davvero pochi minuti e merita di essere inserito regolarmente nella propria routine mattutina (ammesso che ce ne sia una, ovviamente). L’ideale è partire con dodici cicli completi, per poi, col tempo, arrivare fino a ventiquattro. Se la qualità della respirazione viene a mancare (per stanchezza, postura scorretta o altro) oppure si viene a creare qualsiasi tipo di disagio, la pratica andrebbe interrotta immediatamente e senza alcun indugio.

Infine, anche per prendere maggiore consapevolezza sul proprio modo di respirare, consiglio di esercitarsi un po’ con il viloma pranayama, una delle tecniche propedeutiche per i pranayama più avanzati.


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By Capo Tribù

Aka Gianluca Riboni. Pensatore, personal fitness trainer ISSA, insegnante di Anukalana Yoga, leader di Yoga della Risata, scrittore e blogger (un po') incompreso. E soprattutto, sognatore a piede libero.

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