Il sale fa male, lo sanno anche i muri. Ma, come spesso accade, si tratta di un’informazione incompleta. Dovremmo dire, piuttosto: troppo sale fa male. Ancora non è sufficiente, in quanto dovremmo aggiungere un ulteriore tassello: troppo poco sale fa male uguale. 😊
Scioglilingua a parte, in questo articolo vorrei fare un po’ di luce sull’argomento senza naturalmente incoraggiare l’abuso di un condimento già di per sé ubiquo sulle nostre tavole, ma senza nemmeno demonizzarlo ingiustamente.
Il sale, o meglio il sodio, ci serve. Punto.
Iniziamo con il distinguere tra l’alimento “sale” e il minerale contenuto al suo interno, vale a dire il sodio. Quest’ultimo è un micronutriente indispensabile per noi esseri umani in quanto è coinvolto in un numerosissimi processi metabolici. Gioca un ruolo importante, infatti, nell’equilibrio acido-base e nel bilancio idrico dell’organismo, nel mantenimento della pressione arteriosa, nella contrazione muscolare e nella trasmissione degli stimoli nervosi.
Il sodio, rappresentato con il simbolo chimico di Na, è il principale catione (cioè un elettrolita caricato positivamente) che si trova in ambiente extracellulare, cioè al di fuori delle cellule. È per questo motivo che, quando assumiamo una quantità eccessiva di sodio, si rischia di provocare ritenzione idrica. Se in un bicchiere mettiamo del sale che non si scioglie, infatti, ci tocca aggiungere altra acqua nel bicchiere. Lo stesso avviene nel nostro organismo: per mantenere la concentrazione ottimale di sodio, viene richiamata acqua al di fuori delle cellule, facendoci gonfiare come l’uomo Michelin.
Per essere più precisi, a livello fisiologico, il sodio si trova per il 50,5% in ambiente extracellulare, per il 12% in ambiente intracellulare e nel restante 37,5 nelle ossa.
Quanto sale assumere?
La dose raccomandata di sodio (e non di sale, eh?) oscilla tra i due e i tre grammi al giorno. Tenuto conto che un grammo di sodio corrisponde a 2,6 grammi di sale, significa che dovrebbe bastarci una quantità di sale compresa tra i 5,2 e i 7,8 grammi. Su questo punto direi che non ci sono grandi difficoltà, anzi. Il sale è presente nella quasi totalità degli alimenti industriali e viene utilizzato anche come conservante. In Italia si consumano in media tra i 13 e 15 grammi di sale, quasi il doppio, mentre negli Stati Uniti le quote giornaliere raggiungono livelli stellari (anche 30 grammi al giorno!).
Tale eccesso, oltre a provocare ritenzione idrica e ipertensione, può condurre indirettamente a un aumento di peso. Troppo sodio nell’apparato digerente, infatti, stimola l’eliminazione di magnesio e potassio, mentre, a livello ormonale, riduce la produzione di leptina (facendoci venire più fame) e di noradrenalina, un ormone che gioca un ruolo chiave nel consumo dei grassi.
Per quanto riguarda l’acqua che beviamo, invece, il contenuto di sodio è considerato pressoché irrilevante e incide davvero pochissimo sul bilancio totale. Un litro di acqua minerale ne contiene appena 18 milligrammi (non grammi): ciò significa che per assumere un grammo di sodio con l’acqua ne dovrei bere 55,5 litri.
Anche poco sodio non è il massimo, però
Per continuare il discorso, è necessario comprendere bene i concetti di solvente e soluto. Il solvente altro non è che un liquido in grado di sciogliere una sostanza, sia essa liquida, solida o gassosa, detta “soluto”. In chimica, il risultato che si ottiene viene definito “soluzione”.
Uno dei solventi più conosciuti, come abbiamo già visto, è l’acqua.
Se abbiamo due soluzioni con lo stesso solvente, ma concentrazioni diverse di soluto, nel caso in cui siano separate da una membrana semipermeabile, le molecole del solvente si sposteranno dalla soluzione con minore concentrazione di soluto a quella che presenta la maggiore concentrazione. Alla fine, insomma, si vuole che le due concentrazioni siano uguali tra loro.
Ogni volta che il sodio diminuisce, sia che esso si trovi nel plasma sanguigno o nei liquidi interstiziali, l’acqua si sposta all’interno della cellula, dove gli ioni presentano un livello di concentrazione maggiore. Lo stesso avviene se l’acqua aumenta e il sodio, di conseguenza, diminuisce. In parole povere, l’organismo farà di tutto per mantenere un livello adeguato dei suoi elettroliti.
È importante sapere anche che il sodio presente nell’organismo può essere riassorbito in caso di necessità. In particolare, esiste un ormone prodotto dalle ghiandole surrenali, l’aldosterone, in grado di promuovere il riassorbimento del sodio e allo stesso tempo eliminare magnesio e potassio, cioè i principali ioni intracellulari. La vasopressina, invece, un ormone antidiuretico rilasciato dall’ipofisi, promuove il riassorbimento di acqua attraverso i reni permettendo che i liquidi vengano trattenuti all’interno dell’organismo.
Una carenza di sodio, quindi, non farà che spostare l’acqua dall’esterno all’interno delle cellule, creando un effetto di svuotamento dei tessuti. Riducendo drasticamente i livelli di sodio, il rene si attiverà per garantirne il suo riassorbimento e mantenere costante la sua concentrazione a livello extracellulare. E lo farà, naturalmente, trattenendo molta acqua.
Il sodio nello sport
Quanto detto finora, dovrebbe farci riflettere sull’importanza di mantenere sempre e comunque gli elettroliti del corpo a livelli fisiologici, né in eccesso, né in difetto. Un attenzione particolare andrebbe posta durante gli allenamenti, e le relative diete, in cui si riduce il consumo di sodio e si aumenta drasticamente quello di potassio.
In occasione di competizioni sportive, non ha molto senso assumere più sodio attraverso l’integrazione, nemmeno in caso di attività particolarmente intense e con elevata sudorazione. Abbiamo visto, infatti, come un organismo in salute sia perfettamente in grado di trattenere il sodio al proprio interno, difendendolo con le unghie e con i denti, mentre, se guardiamo ai regimi alimentari di oggi, una sua reale carenza è davvero molto rara.