Perché ho scelto Anukalana Yoga

Come dico spesso, non sono io ad aver scelto Anukalana, ma è Anukalana che ha scelto me. Correva l’anno 2018 e già da un paio di anni mi ero avvicinato timidamente al mondo dello yoga. Avevo letto un paio di libri sul tema e partecipavo con regolarità alle lezioni di Hatha Yoga tenute da un’insegnante della mia zona. Però, sentivo che non mi bastava: non mi interessava tanto diventare l’ennesimo insegnante di yoga, ma sentivo il bisogno di conoscere tutto, ma proprio TUTTO, di questa antica disciplina, così da potermi impadronire di quelle tecniche “segrete” che avrei potuto applicare furbescamente nella mia futura attività come personal trainer.

Fu così che, durante le mie ricerche, mi imbattei in un corso di formazione intensivo organizzato dalla scuola Samadhi di Firenze, il quale si sarebbe svolto in Toscana, in piena estate, per una durata di circa due settimane. Sulle prime, però, esitai. Come praticante ero ancora troppo acerbo, mi sembrava un salto troppo grande, spericolato, e la formula intensiva, “tutto e subito”, poteva rivelarsi un boomerang, ma alla fine mi convinsi. Un vento favorevole, d’altronde, sembrava spingermi proprio in quella direzione: avrei potuto approfondire tutti i temi che mi stavano cuore, come l’anatomia, la meditazione, la filosofia orientale, le tecniche di igiene e di respirazione; mi sarei tolto, almeno per quell’anno, l’happy problem di dover decidere che cosa fare delle mie vacanze, avrei conosciuto nuove persone e, alla fine dell’estate, avrei avuto in mano un bel diploma come istruttore.

Cosa potevo chiedere di più?

Naturalmente avevo letto con attenzione il programma, avevo dato un’occhiata agli articoli e ai video prodotti dall’insegnante, Jacopo Ceccarelli, giusto per capire più o meno a che cosa sarei andato incontro, ma l’aspetto più importante di tutta la faccenda? Mi era completamente sfuggito. Soltanto al primo giorno di ritiro scoprii, infatti, che Jacopo aveva ideato un approccio alternativo allo yoga, detto Anukalana, e sarebbe stato oggetto del corso. Magari in futuro racconterò questa mia esperienza con maggiore dovizia di particolari, ma per il momento vorrei soffermarmi su quel maledetto primo giorno. Non appena arrivato al ritiro, tutta la sicurezza e tutto l’entusiasmo che mi avevano portato fin lì caddero come birilli frastornati. Quasi tutti i miei compagni di corso, come era prevedibile, erano più avanti di me. Mentre io altro non ero che un goffo maniaco della palestra il quale, perlomeno inizialmente, si era affacciato al mondo dello yoga per motivi piuttosto frivoli, come trovare sollievo dal mal di schiena e rimediare qualche prodigioso antidoto allo stress.

Ma non era un corso di yoga, questo???

Ecco, lo sapevo, pensai con terrore, non sono ancora pronto per l’insegnamento, venire qui è stato un azzardo e mi toccherà “arrancare” per due intere settimane per riuscire a stare al passo. I miei dubbi, però, si sciolsero come neve al sole di lì a poco e la mia prospettiva cambiò radicalmente. Jacopo ci chiese di mostrargli la nostra interpretazione del saluto al sole e ognuno di noi si mise a danzare sul tappetino, ognuno con i propri ritmi, ognuno con la propria sequenza. Io, che non mi ricordavo assolutamente quali fossero le esatte posizioni da mettere in fila, cercai, come a scuola, di copiare dai miei “vicini di tappetino”. Alla fine, ognuno andò per la sua strada e io confidai serenamente sul fatto che, trovandomi in un gruppo piuttosto numeroso, non sarei stato “notato”.

Il mio sollievo si espanse ancora di più non appena Jacopo Ceccarelli, detto Yogendra, ci rivelò che avrebbe potuto migliorare la nostra tecnica, sostituendo il tradizionale saluto al sole con la versione, più morbida e danzata, di Anukalana. Fu in quel momento che ebbi la rivelazione. In quelle due settimane, infatti, non soltanto avrei imparato vita, morte e miracoli del mondo yogico, ma stavo per essere introdotto a uno stile (o per meglio dire, approccio, se no Jacopo mi cazzia) che avrebbe cambiato per sempre il mio rapporto con lo yoga.

Avevo capito fin da subito che, grazie ad Anukalana, sarei riuscito a migliorare notevolmente la mia pratica, anche in quelle posizioni dove ormai credevo di aver raggiunto un limite invalicabile.

Avevo capito fin da subito che, grazie ad Anukalana, sarei riuscito a migliorare notevolmente la mia pratica, anche in quelle posizioni dove ormai credevo di aver raggiunto un limite invalicabile. Avevo capito, già in quei primi istanti, che con Anukalana non ero io che dovevo in qualche modo adeguarmi, ma sarebbe stato lo yoga a adattarsi a me, rispettando la mia costituzione e le mie caratteristiche individuali. Tradotto, anche un palestrato legnoso come un albero secolare avrebbe potuto sciogliersi un po’ e diventare sempre più flessibile e armonioso nei movimenti. Come d’incanto, non esisteva più un modello ideale e monolitico da dover raggiungere ed emulare: finalmente, avrei potuto essere me stesso, con le mie luci e le mie ombre, in un mondo che non mi avrebbe giudicato e, anzi, mi avrebbe accolto a braccia aperte.

Ma come era possibile tutto ciò? Il vero yoga non era già perfetto così com’è?

D’altronde, il fatto di introdurre varianti e interpretazioni nello yoga non ci dovrebbe stupire più di tanto. Basterebbe fare qualche ricerca in rete e contare quanti sono gli insegnanti e i guru che hanno scoperto e perfezionato il proprio “metodo”. Per quanto mi riguarda, e ci metto la mano sul fuoco, Anukalana è un esperimento perfettamente riuscito. A prima vista, per un principiante o un non addetto ai lavori, potrebbe sembrare tale e quale allo yoga tradizionale. Dopotutto si fanno sempre le stesse posizioni, dette asana, come cane, gatto, cobra, eccetera, e si mantengono per un po’ di tempo. Fine. Ma se ci sono degli aspetti che lo yoga cosiddetto tradizionale non ha approfondito, o magari ha perso per strada, sono proprio le transizioni tra una posizione e l’altra, nonché l’atteggiamento da mantenere una volta che la posizione è stata raggiunta.

Lo yoga può dare il massimo dei benefici soltanto se è finalizzato alla ricerca del rilassamento.

Chi pratica Anukalana sa bene che una posizione è davvero efficace se anche l’entrata è altrettanto efficace. Ecco, quindi, il primo grande insegnamento che ricevetti quel giorno: lo yoga può dare il massimo dei benefici soltanto se è finalizzato alla ricerca del rilassamento. E questo rilassamento va individuato prima di tutto nelle transizioni tra una posizione e l’altra, le quali devono essere effettuate con fluidità e morbidezza, come avviene nella danza o nel Tai Chi, discipline da cui Anukalana, naturalmente, attinge a piene mani. Dopodiché, la forza fisica e muscolare impiegata nel tenere la posizione dovrebbe essere ridotta al minimo, grazie alla semplice ma potentissima tecnica del rilassamento organismico. Particolare attenzione è rivolta anche alle povere articolazioni, spesso stressate e bistrattate: grazie a Pavana Sandhi, ovvero la “respirazione purificatrice delle giunture”, Anukalana invita a cercare morbidezza e fluidità anche in una posizione apparentemente statica, mantenuta per lungo tempo.

Naturalmente anche il respiro, elemento centrale della pratica, è curato fin nei minimi dettagli. In Anukalana, infatti, non soltanto si respira in modo completamente diverso rispetto allo yoga tradizionale (cioè si espira nelle transizioni e si inspira durante l’ingresso nell’asana), ma esistono dei principi ben precisi e scrupolosi a cui bisogna attenersi ogni volta che entriamo e usciamo da una posizione. Questo insieme di tecniche, in Anukalana, è conosciuto con il termine respirazione organismica, la quale altro non è che un’evoluzione riveduta e perfezionata della respirazione yogica classica.

Già combinando insieme questi ingredienti si ottiene una pratica ipnotica, rilassante, profonda, attenta agli stress muscolari e articolari, e adattabile a ogni tipologia di persona. Ma questo è solo l’inizio. Gli studenti avanzati di Anukalana, una volta apprese e interiorizzate le basi di questo approccio, possono introdurre tecniche ancora più sofisticate affinché la pratica sul tappetino diventi un’esperienza di integrazione profonda, come le spirali, le onde vertebrali e il Prana Dhara, dove si concentra l’attenzione sul piano energetico.

Come dico sempre un po’ a tutti, se non avessi scoperto Anukalana, il mio percorso di yoga molto probabilmente si sarebbe fermato in quell’agosto rovente del 2018. Invece, ero deciso ad andare avanti. Anche perché, poi, come avrei fatto a tornare indietro, a quello che facevo prima? Dove avrei trovato insegnanti Anukalana nella mia zona con cui praticare? E soprattutto, come avrei fatto a conoscere questo approccio in tutte le sue sfaccettature se non avessi proseguito la formazione triennale? Diventare insegnante di yoga e far conoscere Anukalana al maggior numero di persone intorno a me aveva assunto ormai le sembianze di una missione, non certo in discesa, tutt’altro.

Per concludere, Anukalana significa “integrazione”, ma questo, forse, avrei dovuto dirlo all’inizio (ops, 😜). Ed è proprio questa sua capacità di integrare l’individuo a più livelli, fisico, mentale ed energetico, questa sua capacità di integrare in modo armonioso i concetti di più discipline solo apparentemente lontane, che rende Anukalana così speciale. E se ripenso a quell’estate ormai lontana del 2018, un po’ di domande ritornano a galla: chi sarei oggi se, invece di studiare e praticare come un matto insieme ad altri matti, mi fossi limitato ad andare al mare come avrebbe fatto qualunque persona assennata? Lo yoga avrebbe fatto ancora parte della mia vita, se io fossi capitato, semplicemente, in un altro corso? Ebbene, la mia mente razionale ancora si rifiuta di crederlo, ma da qualche parte, dentro di me, rimango convinto che alcune cose, se non tutte, non accadono mai per caso. Dentro di me rimango convinto, ora più che mai, di essere stato “scelto”.


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By Capo Tribù

Aka Gianluca Riboni. Pensatore, personal fitness trainer ISSA, insegnante di Anukalana Yoga, leader di Yoga della Risata, scrittore e blogger (un po') incompreso. E soprattutto, sognatore a piede libero.

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